Alle olimpiadi del 1968 un atleta di nome Dick Fosbury prese la rincorsa con due scarpe di colore diverso e si lanciò oltre l’asticella di schiena, invece che dalla pancia. Vinse la medaglia d’oro, ma soprattutto, quella nuova tecnica di salto in alto prese il suo nome consegnandolo alla storia. Anche Simone Biles, il 10 agosto del 2019 ha compiuto un’impresa “di rottura”, forse più difficile, quando davanti al pubblico che affollava gli spalti dello Sprint Center di Kansas City, accorso per i Campionati Nazionali Statunitensi di Ginnastica Artistica ma soprattutto per vedere lei, ha eseguito un doppio salto mortale all'indietro con avvitamento in uscita sulla trave, che è già difficile da descrivere, figuriamoci a farlo. Il video della performance, infatti, è diventato virale con tutti i diritti che un video virale dovrebbe giustamente avere, ma quando la piccola atleta 22enne ripeterà l’impresa in una competizione internazionale, quella sequenza di mosse prenderà il suo nome. Per sempre.

Simone Biles è un simbolo di tutto ciò che la gente ottusa preferirebbe non essere, ma da cui viene surclassata. È nera, è alta 143 cm, il suo corpicino duro come l’ebano è un fascio di muscoli quasi mascolini. È una cocciuta perché sappiamo bene come ci si stanchi facilmente, a quell’età, di qualcosa che ti impegna fino al dolore fisico e alla rinuncia di parecchie uscite con gli amici quando uscire con gli amici è tutto quello che vorresti fare. È un’influencer nel senso vero della parola senza bisogno di posare tre quarti e con la boccuccia a becco d’oca su Instagram. La sua influenza la usa per dare lezioni di vita agli ottusi di cui sopra e dire cose sensate. È così che invece di bearsi di ciò che è, alla conferenza stampa del campionato US, la prima cosa di cui ha voluto parlare sono le molestie alle giovani ginnaste da parte del sistema che le prepara alle gare, e ha lanciato un pesante j’accuse – lei può – contro USA Gymnastics, la federazione sportiva statunitense per la ginnastica, per non aver tutelato e protetto le sue giovanissime colleghe da Larry Nassar, l’ex medico di squadra condannato a 175 anni di prigione per aver abusato sessualmente di oltre 160 atlete adolescenti. E fra le sue vittime c’era anche lei. “È difficile venire qui a rappresentare un'organizzazione che ha fallito con noi così tante volte”, ha tuonato Simone. “Vincevamo ori, abbiamo fatto tutto quello che ci chiedevano anche quando non volevamo, e loro non sono riusciti a fare un solo, dannato lavoro. Una cosa, dovevate fare, una: non siete riusciti a proteggerci”.

La storia di Larry Nassar non va considerata semplice fatto americano: riguarda tutti noi, uomini e donne, perché è solo una delle tante sfumature di un problema che si manifesta ovunque, a seconda delle occasioni che ogni Paese offre. È tristemente risaputo che i numeri del turismo sessuale minorile siano alti, che l'Italia ne detenga il triste record europeo, e che coinvolgano anche chi non ha la comodità di trovarsi le prede sul posto di lavoro, come un medico sportivo. In questi giorni i crimini di Larry Nassar raccontati nel libro della giornalista Abigail Pesta The Girls: An All-American Town, a Predatory Doctor, and the Untold Story of the Gymnasts Who Brought Him Down suonano ancora più scioccanti perché si allontanano dalla formalità degli atti processuali e si concentrano su una delle vicende più atroci, quella dell’ex atleta statunitense Sara Teristi, che aveva solo 14 anni quando incontrò per la prima volta Nassar alla Great Lakes Gymnastics di Lansing, nel Michigan, nel 1988. Per tre anni è stata vittima di quelle che lui faceva passare per "procedure mediche" e "trattamenti", ma che erano vere torture sessuali a cui lei non osava opporsi perché lui era il medico, lei una bambina, e viveva rispettando il dogma di doversi fidare degli adulti perché loro ne sanno più di te.


Quando nel 1991, ormai alle scuole superiori, ha deciso di smettere, Sara provò a convincere anche se stessa che il problema erano le costole rotte, lo sterno spezzato, il coccige fratturato che quella passione le aveva procurato negli anni. Cercò di ottenere una borsa di studio universitaria per ripagare i suoi genitori di tutte le spese subite per sostenerla nello sport e ci mise una pietra sopra. Solo quando è scoppiato lo scandalo Nassar ha deciso di ammettere perché aveva mollato tutto, e lo ha fatto con Abigail Pesta. A cominciare da quella volta in cui da ragazzina venne attirata da Nassar nel suo appartamento per un progetto di ricerca, che invece ne abusò analmente. Di tutte le vittime, Sara Terisi è una di quella che ha subito di più. Con lei, Nassar sperimentava fino a che punto poteva spingersi senza che un’adolescente avesse il coraggio di ribellarsi. Le più fortunate sono state penetrate manualmente con la scusa di una visita medica. Ma l’anno scorso un’ex giocatrice di hockey su prato della Michigan State University, Erika Davis, ha denunciato di essere stata violentata anche lei e ha accusato i vertici del college di aver coperto la scandalo. La causa è ancora in corso. Larry Nassar non uscirà mai più dal carcere.